I ricercatori sostengono che non è mai troppo tardi per cambiare le proprie abitudini, migliorare le funzioni cerebrali e vivere una vita più lunga e sana. Alcuni anziani praticano arti marziali con i kata. La salute del nostro cervello è l’indicatore più significativo dello stato della nostra salute, è il fattore fondamentale, che determina la qualità della nostra esistenza.
Un’auto
guidata coscienziosamente, alimentata con benzina di buona qualità, alla quale
viene cambiato l’olio regolarmente e che viene riparata con ricambi nuovi
quando l’usura lo richiede, molto probabilmente durerà di più di una che viene
trattata male o trascurata. Allo stesso modo, il metodo più facile per avere un
cervello sano nella mezza età e oltre è mantenere buone abitudini, sia a
livello fisico che mentale. Ma che succede se una persona tarda a fare le
riparazioni necessarie, agendo come il proprietario di un’auto lasciata ad
arrugginire per anni oppure usata troppo a lungo con olio vecchio o
insufficiente? Un motore può sempre essere cambiato; noi, invece, abbiamo un
solo cervello, che di base è composto degli stessi neuroni della nascita, più
qualcuno che si aggiunge in aree molto specifiche. È possibile salvarli -
o addirittura rafforzarli - una volta che cominciano a deteriorarsi? La
Dott.ssa Marian Diamond, neuroscienziata dell’Università
della California di Berkeley, è fermamente convinta che non sia mai
troppo tardi per usare al meglio il nostro cervello. La neuroscienziata Marian
Diamond è fermamente convinta che non sia mai troppo tardi per migliorare le
proprie funzioni cerebrali. Ecco perché. Negli anni ’60 Diamond mise a
confronto due gruppi di topi da laboratorio. Il primo era confinato in uno
spazio paragonabile a una grigia cella di isolamento in un carcere di massima
sicurezza. Affinché rimanessero vivi gli animali erano alimentati giorno
per giorno con semplici razioni, ma a livello cerebrale ricevevano scarsi
stimoli: non avevano giochi o problemi da risolvere, né venivano riuniti con
altri topi per spezzare la noia. Il secondo gruppo, invece, era sottoposto a
una specie di “scuola per topi”, con tanto di ricreazione. Avevano a
disposizione giocattoli e palline per giocare, labirinti da esplorare,
attrezzature per l’esercizio fisico (ottime per far affluire il sangue ai
muscoli e ai neuroni) e, soprattutto, altri topi con cui condividere le
esperienze. La scienziata mise poi a confronto i due gruppi in gare a tempo in
cui dovevano percorrere dei labirinti: gli esemplari che avevano vissuto in un
ambiente mentalmente e fisicamente stimolante ottennero risultati notevolmente
migliori. Diamond fece poi ciò che non avrebbe mai potuto fare agli esseri
umani in un esperimento simile: mise sotto i ferri sia i topi vincitori sia i
perdenti per esaminare il loro cervello (la vita è crudele, soprattutto per i
roditori). I topi che avevano goduto di un ambiente di apprendimento più ricco
e avevano vinto le gare nei labirinti mostravano cervelli notevolmente diversi
rispetto a quelli del gruppo di controllo. La loro corteccia cerebrale – il
guscio esterno e rugoso che ospita i percorsi neurali che determinano la nostra
percezione del mondo – era più spessa di quella dei topi non stimolati. I topi
con il cervello più sviluppato mostravano più connessioni neurali, segno di
maggiore attività mentale; inoltre, presentavano più vasi sanguigni, ovvero più
canali per apportare ossigeno, vitale per mantenere tali connessioni attive ed
efficienti. Diamond aveva raccolto prove concrete sul fatto che l'età mentale
si manifesta nello stato fisico del cervello. L’apprendimento rafforza l’organo
cerebrale proprio come l’esercizio fisico rafforza i muscoli di gambe, braccia
e addome. Per quanto importante, la ricerca di Diamond ha un limite: la
scienziata non fece esperimenti su esemplari giovani, ma scelse di lavorare
quelli di età corrispondente ai 60-90 anni dell'uomo. In ogni caso, i topi
anziani hanno dimostrato di poter riplasmare il proprio cervello in risposta a
nuove esperienze - un'abilità nota come plasticità cerebrale.
Si tratta di una buona notizia, e non solo per i topi. La struttura del cervello è sorprendentemente simile tra i mammiferi. Ciò che vale per topi, cani, cavalli e scimmie vale anche per l’uomo. Diamond fu lieta di confermare che il cervello può cambiare a qualsiasi età: quando è più anziano impiega più tempo a rispondere a nuove abitudini di vita sane, ma lo fa. “Questo significa che se lo usiamo possiamo modificare il nostro cervello, proprio come accade da giovani”, afferma la scienziata.
Il
tempo influisce negativamente sul cervello in tre modi. Quando subisce
l’invecchiamento, questo manifesta patologie, disuso e cambiamenti fisici
associati al passare degli anni. Con l'avanzare dell'età le malattie diventano
più comuni, e molte lo attaccano: dall’ictus - che uccide le cellule cerebrali
interrompendo l’approvvigionamento di sangue - ai tumori cancerosi, fino alla
demenza.
Il
disuso porta le connessioni neurali trascurate ad affievolirsi fino a
interrompersi del tutto. Chi di noi, nella mezza età o in età avanzata, non si
è scordato gran parte della trigonometria studiata a scuola e non più usata, o
si è arrugginito negli scacchi dopo anni di mancato esercizio?
L’invecchiamento
sfoltisce la moltitudine di neuroni presenti nel cervello, eliminandone alcuni
e lasciandone altri suscettibili agli effetti di una vita esposta alle tossine
e ad altri agenti chimici naturali.
Eppure,
a chiunque è capitato di conoscere una persona arrivata a 80-90 anni o più
restando mentalmente sana. Il cervello di un anziano in buona salute elabora le
informazioni più lentamente rispetto a un giovane; tuttavia, una volta che ha
appreso qualcosa lo conserva come un tesoro per poterlo riusare.
Tutte
le parti del cervello – non solo quelle correlate a forme di pensiero più
complesse – possono essere migliorate attraverso sfide stimolanti, a qualsiasi
età. Chi desidera migliorare il proprio equilibrio può praticare il tai chi, sia a 30 che a 90 anni. Il
bowling con la Wii, invece, aiuta la coordinazione occhi-mani e
l’abilità di focalizzare l’attenzione, sia tra i più che tra i meno
giovani. Effettivamente, è stato dimostrato che l’attività fisica permette
agli anziani di ridurre il rischio di cadute, migliorare la mobilità e
contrastare la demenza; eppure, ad affermare di fare una consistente attività
fisica per almeno 20 minuti tre volte alla settimana - l’esercizio fisico
minimo consigliato - è solo un americano su otto tra i 65 e i 74 anni, e uno su
sedici di età superiore ai 75 anni. Qui in Italia, invece, i dati riportati dall'Istituto Superiore di Sanità ed
elaborati dall'Istat confermano che il 69,3%
delle persone di 75 anni non svolge alcuna attività fisica.
La
plasticità del cervello rivela molto della straordinaria struttura di questo
organo. Si tratta della cosa più complessa che l’uomo abbia scoperto
nell’universo: è composto da miliardi di unità indipendenti che lavorano
insieme, in sinfonie sorprendentemente complesse che ci permettono di
comprendere il mondo, elaborare, immagazzinare e recuperare le informazioni,
usandole poi per decidere come interagire con ciò che ci circonda. Ogni nuova
esperienza modifica la struttura fisica del cervello.
Cercare sempre le novità.
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