Un sommergibile della Marina militare - il "Pietro Venuti", classe Todaro - e un'informativa fantasma ribaltano il tavolo del processo "Open Arms" a Palermo, dove Matteo Salvini è imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio in relazione al blocco di 147 migranti per oltre 15 giorni nell'agosto del 2019, quando il leader della Lega guidava il Viminale. Il doppio colpo di scena si materializza ieri mattina nell'aula bunker dell'Ucciardone quando a inizio udienza l'avvocato dell'attuale ministro delle Infrastrutture, Giulia Bongiorno, chiede e ottiene di acquisire agli atti del dibattimento materiale fotografico, audio e video prodotti dal sottomarino in relazione al comportamento della nave della Ong nel Mediterraneo. Documentazione «a disposizione» non solo della Procura di Palermo, ma anche di quelle di Catania, Siracusa, Ragusa, Messina, Agrigento, Sciacca e Roma, ma di cui «la difesa non sapeva nulla», attacca il legale del ministro. E si tratta di un "dossier", denuncia Bongiorno, dal quale emergerebbero «condotte anomale da parte delle Ong». In primis, grazie a «intercettazioni telefoniche», una «comunicazione tra un personaggio a bordo della Ong e un altro personaggio vicino, in zona».Il sospetto della difesa è che da questi messaggi emerga la presenza nella zona delle operazioni di soccorso - di cui l'equipaggio dell'unità militare italiana fu testimone - degli scafisti. Non a caso dopo il dialogo tra i due uomini, che avviene in spagnolo, la Open Arms cambia rotta, avvicinandosi a un barchino con i migranti. Si tratta di un materiale che se fosse stato reso noto e disponibile prima agli altri protagonisti di una battaglia legale nella quale Salvini rischia fino a 15 annidi carcere - il Senato che ha concesso l'autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini; i legali del numero del Carroccio; il Tar del Lazio che due settimane dopo i fatti avrebbe bocciato il divieto di ingresso della Open Arms nelle acque territoriali italiane; il giudice dell'udienza preliminare palermitano avrebbe potuto riscrivere la vicenda. Rendendo, ad esempio, giustificabile la mancata assegnazione del Pos- il porto sicuro di attracco, place of safety - da parte di Salvini. Invece «nulla di tutto questo è mai stato depositato», denuncia Bongiorno. Così nella valutazione sul comportamento dei due attori principali della vicenda- il Viminale di allora e la Ong - è sempre mancata la parte sulle possibili «violazioni da parte della Open Arms, è sempre mancato un tassello». Questo almeno fino a ieri mattina, quando dopo la richiesta della difesa quanto captato e raccolto dal "Pietro Venuti" è stato ufficialmente ammesso nel fascicolo del processo dal presidente del tribunale, Roberto Murgia, al termine di una breve camera di consiglio. Non solo: il collegio giudicante ha anche deciso di ascoltare, in qualità di testimoni, sia Stefano Oliva, comandante del sommergibile, sia Andrea Pellegrino, il capitano che scrisse all'epoca una relazione di servizio. Ma i colpi di scena non finiscono qui. Lo stesso avvocato Bongiorno, alla fine dell'udienza, ha rivelato che quanto documentato a bordo del sottomarino, con i sospetti sul comportamento della Open Arms, era stato «cristallizzato» in un'«informativa» di cui però la difesa non è mai stata messa a conoscenza. L'«informativa fantasma», l'ha ribattezzata il legale di Salvini, «che noi vogliamo vedere». Visione che invece da subito è stata assicurata, fanno sapere fonti vicine a Salvini, non solo alla procura palermitana, ma anche ad altri sette uffici giudiziari.
(Liberoquotidiano.it - 4.12.2022)